19 aprile 2010

Un regista distratto

Come regista sono abbastanza distratto, sul set alla fine di ogni scena ho bisogno che qualcuno ritrovi la mia copia della sceneggiatura che è andata smarrita, appoggiata da qualche parte appena si è iniziato a fare sul serio.

Decisamente no, non potrei mai lavorare con una sceneggiatura di ferro.
Anche perché quando scrivo una sceneggiatura non ho la pazienza né la voglia di pensare a tutti i dettagli. Ci sono troppe cose sul set che non si possono prevedere. Possibile che sia dovuto alla mia non grandissima esperienza, ma è sempre stata parte della mia filosofia la convinzione che fosse impossibile tradurre in atti ciò che si è progettato.

Chris Marker, regista de La Jetée, trovava profondamente noioso e superfluo il lavoro successivo la realizzazione dello stroyboard. Pasolini interpreta l'artista nel suo Decameron e chiude il film con una battuta simile in cui si chiede perché realizzare un'opera quando potrebbe essere sufficiente sognarla. I registi della Nouvelle Vague nella ricerca della vitalità preferivano inquadrature sporche alla precisione della messinscena. Per Antonioni la sceneggiatura era poco più che un canovaccio da alterare ogni qualvolta lo ritenesse necessario e si lasciava condizionare dalle impressioni del momento, ricavate passeggiando e esplorando il set. Gli artisti dada affidano completamente al caso la genesi dell'opera d'arte.

La vita è incontrollabile e la vita, lo sappiamo grazie a Wilde, è imitazione dell'arte.

E poi perché preoccuparsi troppo delle nostre opere quando è lo spettatore, il fruitore a deciderne il destino, ad attribuirne senso e significato?

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