28 gennaio 2012

ACAB - La vita non è un film

La presentazione del libro e del film ACAB a Milano del 24 gennaio scorso è stata animata da una viva ma civile contestazione di un gruppo di di giovani vicini al centro sociale ZAM.
I ragazzi sono intervenuti a termine degli interventi di Pierfrancesco Favino e Stefano Sollima alla libreria Feltrinelli in Corso Buenos Aires a Milano imputando a scrittore e regista di avere trasformato fatti reali e drammatici in una fiction edulcorata che tenderebbe a trasfigurare un tema delicatissimo e riabilitare figure di poliziotti corrotti e violenti.
Questo è il racconto per immagini dell'evento.


22 gennaio 2012

Drive: un B-movie di classe

Nel titolo del film, Drive, è espressa molta della sostanza del film. Nella sua asciuttezza, il titolo descrive l'essenzialità drammaturgica del film e definisce tutto quello che sappiamo del personaggio principale. Drive, guidare, è semplicemente quello che fa. E’ un titolo molto didascalico, puramente denotativo. E’ ciò che maggiormente identifica il protagonista: che si tratti di gare sportive (il suo sogno), che si tratti di guidare in condizioni estreme nelle scene di film (l’occupazione principale) o che si tratti di fare da autista per ladri e rapinatori, per lui tutta la sua vita si può sintetizzare con una sola piccola parola. La sua passione totale, non fa differenza morale lo scopo per cui tiene in mano il volante o spinge sull’acceleratore. Lui guida. Punto. Anche quando deve fare un invito alla ragazza della quale si è innamorato, le chiede se ha voglia di un "ride". Che in lingua originale potrebbe suonare come un doppio senso inopportuno per un primo appuntamento, ma non per lui. per lui è solo un giro in auto.

L'interpretazione di Ryan Gosling, nel ruolo principale, è molto misurata, il duro silenzioso. Clint Eastwood, è il primo riferimento che viene in mente: l'uomo senza nome per eccellenza, come senza nome è il protagonista del film, chiamato semplicemente "il ragazzo" da chi si vuole riferire a lui.

Già dalla primissima scena del film è dichiarata la natura oscura del personaggio, ma anche la sua natura meticolosa, che ha in fondo delle regole, una morale, anche se una morale tutta sua. Cosa abbastanza tipica dei noir. O dei western.

Anche degli altri personaggi sappiamo in realtà molto poco della loro storia. C'è una giovane madre single (Carey Mulligan), c'è il suo bambino, c'è il suo capo, Shannon (Bryan Cranston) che conosce della gente piuttosto rozza, che però può essere utile alla loro causa.

In questo microcosmo, si sviluppa tutto il dramma di Drive. Il "ragazzo" entra in conflitto con la sua stessa famiglia, per così dire, e il conflitto non porterà a una risoluzione e un ritorno completo all'ordine iniziale, ma solo a una stabilizzazione, una neutralizzazione della situazione. Torna la calma, per lo meno apparente, le biglie del flipper impazzito sono state riportate in posizione di equilibrio, ma un equilibrio precario, in cui la lezione è che è meglio non cercare di sconvolgere la situazione per non creare danni peggiori. Esiste una redenzione? Sembra essere la domanda centrale del film. E la risposta è no, o per lo meno la redenzione non è definitiva e totale, comporta una perdita, un compromesso. Alcuni valori sembrano pur sempre emergere, come amore, onestà e coerenza, anche in un film per certi versi bizzarro.

Drive sembra un film noir degli '70 o '80, un b-movie già a partire dai titoli di testa rosa shocking, per non parlare di tutto il trattamento cromatico di oggetti e della stessa città di Los Angeles, città inospitale ma a suo modo affascinante e romantica. Però la regia è totalmente diversa da un film di genere, da quei movimenti di macchina molto spregiudicati che per esempio sono elogiati da Tarantino, che pure pesca nello stesso immaginario filmico e condivide con Refn un certo gusto per il particolare truculento.

In Drive lo stile di regia sembra opposto a quello dei b-movies che piacciono a Quentin Tarantino. Le inquadrature sono fluide e calibrate. Non c'è spettacolarizzazione ed enfatizzazione attraverso la regia, ma anzi la regia sceglie di sottolineare, per così dire, l'indole del protagonista: fuoco che cova sotto la cenere.

Il film ha punte di kitsch, se non addirittura trash, ma il tutto sembra condito e trattato con una grande classe. Ed è forse questo unione ossimorica, questa commistione di opposti che ha fatto apprezzare il film a molti. Refn riesce a farlo senza risultare pretenzioso, ma il film traspira genuino affetto nei confronti dei riferimenti cinematografici che omaggia.

Le inquadrature precise e patinate sono generalmente molto lunghe, dilatate, specie considerato il genere in cui il film si inserisce. La composizione molto calibrate, molto stabili (senza l'uso di camera a mano) sia nelle scene d'azione, sia nelle soggettive e spesso anche quando Gosling guida (o finge di guidare). Lo stesso si può dire per i molti ralenti. Le inquadrature sono spesso grandangolari con molta profondità di campo: cioè campi larghi in cui sia gli elementi in primo piano che lo sfondo sono a fuoco e sembrano avere pari dignità. Grande eccezione è la scena che si svolge in auto, in cui Irene, la ragazza di cui il protagonista si è innamorato, annuncia l'uscita dal carcere del marito. Nella scena il fuoco è costantemente sul volto impassibile di Gosling, mentre la ragazza, anche quando parla, rimane sempre fuori fuoco. Da lì il film cambia totalmente, un'ellissi di tempo non segnalata da alcuna transizione ci porta alla festa per lo scarceramento del marito di Irene e l'atmosfera sospesa e ipnotica (grazie al sonoro del film) si fa tesa.

Il ritmo del film è di conseguenza lento, e ciononostante la tensione è mantenuta viva per tutto il film, che non perde mai di interesse, perché alti e bassi della narrazione sono ben ponderati. Solo nella seconda parte del film, nell'ultimo terzo addirittura, avvengono improvvise accelerazioni nelle scene di violenza e il passo posato del film è interrotto da alcune sciabolate, come due colpi di katana presi da un film di samurai. Inoltre, vi sono gli insistiti e numerosi ralenti che caratterizzano molte scene, specie in questa seconda parte del film, ai quali abbiamo già accennato.

Il commento musicale è piuttosto esplicito. La musica elettronica conferisce un'atmosfera anni '80 alla pellicola, ma non solo serve a suggerire un tono e un’atmosfera, aggiunge significato: “real hero e real human being...” Il regista dice di essere molto attento a questo aspetto perché secondo lui, il modo di descrivere un film non è a parola ma con la musica. Quando fa un film, Refn si chiede: come suona questo film? Che rumore fa?

La scarna vicenda raccontata dal film si svolge nell'arco temporale di pochi giorni, con ampie ellissi nella seconda parte, specie quella già ricordata prima dello scarceramento del marito di Irene. Si punta al sodo, non ci sono perdite di tempo. Anche da questo punto di vista, Drive è di una secchezza esemplare.

Drive è il secondo film "americano" di un danese che ha avuto successo specialmente con la trilogia Pusher, action movie violenti e sicuramente meno raffinati dal punto di vista stilistico. Un regista che non ha sfruttato l’occasione offerta dall’industria americana per fare film di cassetta – forse anche perché grossi budget dietro a Drive non ci sono, dopo il fallimento del primo film prodotto negli USA, Fear X, un film denso di mistero – ma ha fatto un’operazione quasi nostalgica.

E' un film che sfugge alla categorizzazione. E’ un film fatto con cura che non ha niente di attuale dal punto di vista stilistico e allo stesso tempo non si può definire un film postmoderno. Forse anche perché Refn, per sua stessa ammissione, ha smesso di ragionare su come devono essere i suoi film ma li gira seguendo l'istinto e solo dopo si accorge dei motivi che l'hanno portato a certe scelte. L'arte è per lui più il processo che il risultato.

Drive è un film, come tutti i suoi, che coltivano un'estetica delle immagini anni '80, così come la sonorità, periodo in cui, trasferito da poco a New York, non conoscendo la lingua e affetto da una forma di dislessia, non potendo leggere, Refn si è nutrito sostanzialmente solo di televisione.

Il regista ammette di rubare quando crea, ma dice che è necessario e che tutti lo fanno. Sostiene inoltre di fare sempre film su personaggi isolati, e crede che ciò sia dovuto al fatto di essersi sentito isolato nella sua infanzia newyorkese. E così, per esempio, in Walallah Rising (2009) il protagonista è un guerriero muto (taciturno quindi anche più del protagonista di Drive) e che ha solo un occhio, però può vedere il futuro e ha poteri telepatici. Bronson (2008) è la biografia rivisitata di un carcerato inglese che invece di scontare 7 anni per furto ha passato 34 anni in carcere, 30 dei quali in isolamento per le continue risse e violente rivolte di cui si è reso protagonista. Ne viene fuori il ritratto di un performer che usa la violenza come forma espressivo.

I personaggi di Refn hanno insomma delle qualità interiori che desiderano con forza tirare fuori. I film parlano sempre di persone sole che devono usare la violenza per farsi valere. Non a caso, l'arte è secondo il regista un atto di violenza. Penetra il fruitore. E come la guerra può cambiare il mondo, ma invece di distruggere, ispira. 

E in Drive il protagonista è un uomo senza amici e senza famiglia, un essere umano che è anche un eroe. Uno squalo buono, o un buono che sa essere squalo, come sembra suggerire il dialogo con il piccolo davanti alla TV. Un individuo dalla doppia personalità, galantuomo e rapinatore. Pacifico ma velenoso come lo scorpione che porta disegnato sul giubbino. Fatto che lo rende estremamente interessante ed è per questo che Ryan Gosling lo ha scelto, come ha scelto il regista che lo avrebbe ritratto in quella che appare come una grande opera di autopromozione. Gosling è protagonista indiscusso della pellicola ed è spesso inquadrato in primissimi piani, anche questi dal sapore western.

Il personaggio e il trattamento visivo del film stanno forse più a cuore a Refn e Gosling che non il racconto stesso, che può essere visto come nient’altro che una fiaba, una fiaba in cui un misterioso principe azzurro salva una principessa caduta in disgrazia. Purezza e precisione sono gli ideali di questo principe, anche quando compie reati. (Il tempo che dà ai rapinatori che scorta sui luoghi del delitto sono 5 minuti, non sgarra e non vuole sgarri. C'è una morale molto rigida in tutti i suoi comportamenti). Ne consegue una scarsa profondità dei personaggi e una rarefazione drammatica che lascia spazio alla cura visiva.

E' qui che risiede il principale valore del film, più che nella storia che non presenta eccezionalità e più che nei personaggi e nei temi che non presentano nulla di particolarmente originale. Sta proprio nello stile visivo del regista che rispolvera un po' nostalgicamente il thriller, fondendo come abbiamo visto stilemi estetizzanti a elementi kitsch. Molto di questo kitsch deriva dalle dirette citazione di Scorpio Rising un film underground del regista Kenneth Anger (1964), che è sempre stato un punto di riferimento per Refn. A partire dal giubbino del protagonista con lo scorpione ricamato, esatta copia di quello del film di Anger. E se allora i protagonisti sono centauri quasi feticisti della moto (con un intreccio di esibizione gay e nazista e simbologie sessuali e sadiche), nel film di Refn abbiamo un autista, che ha fatto dell'auto la sua ragione di vita. Un certo feticismo compare anche in alcuni elementi che caratterizzano il protagonista: il giubbotto (che non si toglie mai, nemmeno quando imbrattato di sangue è prova manifesta dei suoi crimini), lo stuzzicandenti che tiene spesso in bocca, il martello usato come arma sono elementi smaccatamente kitsch.

A me, Drive ricorda molto anche David Lynch per il tema della superficie idilliaca o glamour sotto la quale si nasconde il torbido. Ma vi trovo di Lynch anche la ricorrenza dell'elemento della strada e la descrizione della malavita Losangelina, che vede coinvolti in realtà pochi personaggi, tenebrosi, ma al limite del grottesco.

Volendo cercare qualcosa di archetipico in Drive, mi pare possibile anche ravvisarvi il racconto di un'emancipazione di un uomo non ancora del tutto adulto che deve “uccidere il padre”, liberarsi del gioco, trovare una nuova famiglia e cominciare ad essere veramente uomo. Come un racconto di formazione spostato però di 5 o 10 anni in avanti. Non si tratta di un adolescente ma di un giovane uomo. Alla fine del film, se l'equilibrio non è stato trovato, il protagonista può ben dire di essersi sbarazzato dei padri (e "padrini" e padroni, se si vuole), e sentirsi sicuramente più uomo.

Ora può ricominciare forse in maniera ciclica una nuova avventura, in cui il "ragazzo" cercherà un nuovo luogo dove stare, un nuovo lavoro, con motivi validi per non far trapelare nulla del proprio passato.
Nicolas Winding Refn (THE PUSHER TRILOGY, BRONSON, VALHALLA RISING) talks to Reverse Shot's Damon Smith about growing up isolated in America, the act of creation, and the Michael Bay movie he really wants to make.