10 dicembre 2011

Il pregio nell'arte

Da ragazzo cercavo di capire le arti e desideravo uno strumento che mi permettesse di catalogare le opere e scegliere tra quelle degne di lode e quelle trascurabili. Se mi piaceva un romanzo o una poesia, poi, mi sarebbe piaciuto essere in grado di spiegare, a me stesso e a chi me lo avesse chiesto, perché.

Nel mio vagare incerto, ebbi il primo barlume di metodo che avesse un che di concreto e oggettivo in una delle mie professoresse di italiano che un giorno in classe disse: "un'opera di pregio è quella in grado di rispondere a tutti i perché che solleva."

Finalmente avevo una pista. Se per esempio un poeta aveva scelto quella forma e persino quella singola parola in base a un preciso perché, la poesia aveva valore. Ci voleva cioè uno specifico motivo per ogni singola scelta artistica.

Ora riconosco invece che quella parvenza di oggettività nel giudicare il pregio artistico di un'opera di qualsiasi forma espressiva fosse puramente illusoria. Già allora mi rendevo conto, pur non sapendo articolare il dubbio, che non fosse facile recuperare tutti i perché, cioè farsi le domande giuste di fronte a una forma d'arte. E come rispondere poi a quelle domande?

Come minimo bisogna essere dei "lettori competenti" (così direbbe Jonathan Culler) e sapere un mucchio di cose sull'opera, sul suo autore, sul contesto storico e via dicendo. E chi poteva dirsi in grado di avere tutti gli strumenti per potere rispondere in modo appropriato alle domande? E come sapere se le risposte fossero corrette? Nell'irreperibilità dell'autore, bisognava chiedere alla "comunità interpretativa" (così la chiamerebbe Stanley Fish)? E come fidarsi della comunità?

Ma in fin dei conti chi, se non il lettore è l'incaricato di rivolgere queste domande al testo. Chi se non il lettore, di nuovo, ha il compito di rispondere a queste domande. Il testo, è chiaro, è solo uno strumento nelle sue mani, che funzione al più come uno specchio che riflette considerazioni che nel lettore stesso nascono e muoiono. Il pregio, non sta nel testo, ma nel lettore che lì lo pone e lo scova.

La mia professoressa di italiano, anzichè dire che un'opera di pregio è quella in grado di rispondere a tutti i perché che solleva, avrebbe dovuto dire che l'opera che potrete ritenere di pregio è quella che vi susciterà il maggior numero di domande e riflessioni e che sarete in grado di utilizzare per definire meglio la vostra compresione dell'arte, la sua stessa forma espressiva, oppure voi stessi o qualsiasi altra cosa vi permetterà di mettere a fuoco.

08 dicembre 2011

Appunti su La donna che canta

Detto in due parole, La donna che canta è la storia di una coppia di fratelli gemelli che cercano il resto della loro famiglia. La ricomposizione impossibile di un nucleo famigliare che diventa ricomposizione di tutta l'umanità.

E' un film drammatico e tragico fino all'estremo del verosimile. Più che a un film realista è avvicinabile a una tragedia greca classica, trasportata però all'epoca della guerra in Libano. Parla di una sofferenza privata che, come quella della guerra, tanto più grande perché imposta dall'alto, dal destino, così come la guerra è imposta per ragioni che spesso i popoli non condividono.

Se il titolo italiano mette in risalto l’estremo coraggio di questa donna, che fa pensare a un altro capolavoro teatrale, Madre coraggio e i suoi figli, appunto, di Brecht, anche per via della tematica della guerra presente nel dramma di Brecht, il titolo originale è Incendies (fuochi) e richiama le esplosioni della guerra. E anche le esplosioni di violenza che non vengono da arma da fuoco.

E' il quarto film di Denis Villeneuve, regista canadese, che ha collezionato una serie importante di premi anche con i film precedenti, con i quali ha rappresentato più volte il Canada per la corsa agli Oscar. Ma solo con questo ha ricevuto effettivamente la candidatura alla statuetta come miglior film straniero. E come miglior film straniero, La donna che canta è stato nominato aianche ai David di Donatello.

Il film ha origina da una pièce teatrale di Waidi Mouawad, drammaturgo libanese che vive in Canada. Lavoro che ha debuttato nel 2003 ed è stato rappresentato anche in Italia.

E' un film che trascina verso i suoi gorghi infernali e richiede di prendere un po' d'aria mano a mano che si fanno le dolorose scoperte assieme ai gemelli che compiono l'indagine alla ricerca del loro passato. La narrazione riesce a rivelare piano piano tutti i suoi dettagli che saranno sempre più terribili. Cosa che avvicina questa tragedia a un film noir. E' un film forte che richiede di essere seguito nel suo gioco di eccessi melodrammatici.

Il perdono.


Mi pare che il tema principale della pellicola sia quello del perdono. I protagonisti sono coinvolti dalla madre in una caccia al tesoro per scoprire un verità troppo difficile e dolorosa. Il tesoro è quindi la verità, il tesoro è la propria storia, la propria origine. Il tesoro è la conoscenza.

Questa si genera attraverso una catarsi, cioè una purificazione, prodotta da un dolore talmente grande che rischia però di schiacciare e se ne esce talmente puliti, talmente depurati che si è così sottili, così essenziali, svuotati da ogni sovrastruttura che permette di perdonare qualsiasi atrocità.

La protagonista ha subito così tanta cattiveria e violenza che non ha nulla da perdere, non ha praticamente più sentimento, ma solo vendetta, eppure quella vendetta non si può compiere, non si può sviluppare ma dove muore nasce invece il perdono perché sarebbe una vendetta contro chi ha desiderato più di ogni altra cosa al mondo. E in più è una vendetta talmente forte che si esaurisce da sola. E' come un fuoco che ha bruciato tutto e quindi si autoestingue perché non ha più nulla da bruciare.

I figli arrivano così a capire che la madre è sempre sembrata fredda e avara di sentimento nei loro confronti, perché sopraffatta da un numero di emozioni indescrivibili per la loro forza e perché erano per lei il frutto delle violenze subite. Nel finale, all'ostilità che i suoi fratelli avevano nei confronti del suo amore e del suo amato (odio etnico che scatena la serie indicibile di tragedie), si contrappone il perdono della nuova generazione che se riesce, può riconciliarsi con se stessa e con la generazione precedente attraverso la figura mostruosa di questo padre-fratello torturatore. L'agnizione, riconoscimento della reale identità di un personaggio, risolve il dramma come nella teatro classico e comporta un grosso colpo di scena.


La guerra.

 

Il tutto avviene attraverso un viaggio nello spazio e nel tempo, in cui la figlia ripercorre le tappe della storia della madre, dall’allontanamento dal suo villaggio per la scandalosa gravidanza avuta da un Palestinese (lei è cristiana, quindi di un’altra religione) e attraverso numerose dolorose tappe, fino alla prigione dove è stata rinchiusa e torturata.

All'andamento binario dei due fratelli che affrontano in maniera così diversa le ultime volontà della madre, si affianca il contrasto tra il Canada, gelido e fermo, e il Medio Oriente, scaldato dal sole ma anche infuocato dalla guerra. Ma la scelta del Medio Oriente è solamente simbolica o quasi. Il film è stato girato in Giordania ed è ambientato durante la guerra di Libano, ma non ci sono, e volutamente, riferimenti precisi a singoli episodi o battaglie. Stupri, torture sono una caratteristica di ogni guerra, ma la situazione mediorientale è ciò che ci può essere di più tragico e costantemente instabile nell'immaginario odierno.

Forse è per questo che il film non lascia spazio ai giudizi su vittime e carnefici, perché troppo grande è la colpa e troppo grande è l'amore di questa donna. Di nuovo, la guerra potrebbe essere stato solo un pretesto per raccontare la violenza più atroce, un pretesto per raccontare una vicenda al limite, che in realtà potrebbe succedere anche tra le mura domestiche. Purtroppo ci raggiungono notizie sgradevoli di violenze sessuali commesse da genitori nei riguardi dei propri figli. Per molti popoli anche in questo momento sono comunque violenze che vengono perpetuate, dovunque ci siano scontri etnici, religiosi, eccetera. 

Molteplicità.
 
La donna che canta tocca numerosi e spinosi temi: perdono, guerra, violenza, condizione della donna, famiglia, amore, questione mediorientale. E può essere letto in molte maniere different, come parabola del perdono, come dramma bellico, come melodramma, ma anche come paradosso matematico espresso matematicamente dalla domanda: “può 1 più 1 fare 1?” Ovvero come equazione dove le incognite che dapprima paiono essere due, si moltiplicano via via sono tre, padre, figlio e madre e loro stessi. Esiste poi il paradosso della vita come eterna ricerca di una terra promessa, ricerca di pace quasi impossibile da trovare.

Ma il film è anche una tragedia classica. L'irreparabilità, il destino senza via di fuga, mi fanno pensare anche alle tragedie teatrali, greche e anche moderne, nelle quali non c'è scampo a un destino scritto, anche se questo destino si conosce già. E poi il topos dell'agnizione finale, lo stratagemma del riconoscimento che scioglie una situazione divenuta irrimediabilmente complicata.


E’ in questo e nella massiccia presenza di colpi di scena che il film tradisce l’origina teatrale, anche se il racconto si sviluppa invece con molta sapienza attraverso un intreccio efficace di presente e passato, attraverso questi lunghi flashback che raccontano delle violenze subite dalla madre.




02 dicembre 2011

La Talpa (Tinker, Taylor, Soldier, Spy)


E’ stato presentato a Venezia e arriverà nelle sale a Gennaio l’adattamento cinematografico di un grande best seller di spionaggio di John Le Carré, che prima di diventare scrittore ha lavorato nei servizi di intelligence.

La talpa è il primo di una serie di romanzi che hanno al centro la figura George Smiley, agente segreto britannico ai tempi della guerra fredda contro l’Unione Sovietica.

L’intricata vicenda, che richiede una serie di flashback per essere dipanata, è quella di un agente segreto in pensione, che viene richiamato per scoprire chi sia la talpa del KGB tra i più alti livelli dei servizi segreti.


Il testo di Le Carré era già stato fonte per una serie TV di notevole successo e il film ha dovuto attendere un attore che potesse reggere il paragone a distanza con Alec Guinness, carismatico interprete del primo George Smiley.

TOMAS ALFREDSON (regista)
È molto complicato creare un protagonista che viene descritto come qualcuno che si dimentica in fretta. Dopo 8-10 mesi stavamo per abbandonare le ricerche, quando Tim Bevan, il produttore, ha detto: “perché non chiediamo a Gary?”

GARY OLDMAN (attore)
Sono stati carini a chiedermi di rimanere su una sedia. E’ un ruolo di quelli in cui stai seduto e ascolti e speri di comunicare quello che pensi e che provi, perché fai molto poco.

Tutto nel film è estremamente curato: la regia, la scenografia, i costumi. Ed è grazie a questo che Gary Oldman, solitamente chiamato a ricoprire ruoli fisici e personaggi chiassosi, riesce a calarsi nella fredda tranquillità del protagonista.

GARY OLDMAN
Ho voluto solo dargli qualche chilo e qualche anno in più, così ho mangiato tutto quello che potevo e ho decolorato i capelli.


La Talpa, più che sulle imprese degli agenti, si concentra sulle persone e sui loro sentimenti, sulla lealtà, sul tradimento e sul sacrificio.


PETER STRAUGHAN (sceneggiatore)
Parla di persone che rimangono fedeli anche quando sono state tradite, parla di persone con il cuore a pezzi. E’ un film basato sulle emozioni: ha un tono freddo ma la storia parla di emozioni. Abbiamo cercato di concentrarci sui costi umani di questa guerra.

Nel film si respira l’aria di un’intelligence in declino, come se le spie abbiano perso l’interesse verso una guerra logorante. L’ambientazione in una Londra grigia sottolinea il realismo del film, che non ha nulla a che fare con le acrobazie e il sensazionalismo à la James Bond.

COLIN FIRTH (attore)
Non c’è James Bond. Non è patinato e gli agenti non giocano con i gadget, ma con tè e biscotti e qualche volta del brandy e si parla un linguaggio cifrato, ma con aria naturale.

Colin Firth, altro grande nome del film, che ha affermato di non aver avuto altre offerte interessanti dopo quella per la parte di protagonista ne Il discorso del re che gli ha fruttato l’Oscar, aveva già interpretato un thriller ambientato negli anni ’70: A Single Man.

COLIN FIRTH
Sono film molto diversi, ma entrambi hanno avuto il coraggio di prendere romanzi ricchi e pieni di dialoghi e reinterpretare il loro stile con molti silenzi. Entrambi poi raccontano un passato al quale ora si guarda con più poesia.

01 dicembre 2011

La Terza Guerra Mondiale

Gli Stati Uniti starebbero preparando la Terza Guerra Mondiale contro Iran e, di conseguenza Russia e Cina, dal 2004.
Ancora una volta, il motivo della guerra saranno i giacimenti di combustibili.
Noi, come servi degli Stati Uniti, saremo dalla loro parte e pagheremo il nostro prezzo.