Avatar può essere, tra le altre cose, una metafora del cinema.
Circolano notizie di come gli spettatori accusino forme di depressione dopo la visione di Avatar. Sembra che il forum sul sito del film sia stato chiuso per i continui commenti che denunciavano il fatto
L'utopia del pianeta Pandora è così diversa dal mondo in cui viviamo da indurre sconforto.
Ma è questo che fa il cinema. A volte ci si butta in un cinema con un pietra al collo per evadere. E' il titolo del nostro blog. Sembra un luogo comune, ma c'è un altro modo di intendere la frase.
Il film è un altro mondo nel quale ci si tuffa quasi come il marine protagonista di Avatar si immerge nel mondo dei Na'vi.
Se l'immersione è totale - a volte capita - si perde quasi totalmente il senso della realtà. Durante la visione ci sono però spesso distrazioni (qualcuno che parla, che si muove, il bisogno di cambiare posizione) e la sospensione è per un momento interrotta, come quando addormentandosi o quando c'è un problema o un disturbo il caporale Jake Sully torna in sé e lascia inerme il corpo del sua avatar.
Spesso è così. La fine del film è un risveglio alla realtà. E possiamo dire che il film fosse una realtà nuova, sebbene effimera, proprio perché abbiamo sospeso la nostra incredulità, ci siamo lasciati avvincere e soprattutto abbiamo eseguito le stesse attività mentali che eseguiamo nella vita di tutti i giorni.
Pensare a un mondo come Pandora, anche se sappiamo (e continuiamo a sapere durante il film!) che si tratti di un'invezione di fantasia ci permette di fare considerazioni "come se". Grazie alla finzione siamo anche in grado di produrre inferenze o deduzioni che utilizziamo nella vita di tutti i giorni.
Se Pandora ci piace più del nostro mondo reale, uscendo dal cinema ci sentiamo rattristati perché abbiamo maggiore coscienza di quello che non ci piace là fuori. Può succedere. Peccato solo che invece di pensare di voler cambiare il mondo (reale) perché pensano che faccia schifo, quegli spettatori di Avatar si siano fermati solo al primo passo.
Diceva Buñuel: "Credo che il cinema eserciti sugli spettatori un certo potere ipnotico. Basta guardare la gente che esce da una sala cinematografica, sempre in silenzio, a testa bassa e l’aria assente. Il pubblico teatrale, quello della corrida e quello sportivo sono molto più vivi, più energici. L’ipnosi cinematografica, leggera e inconscia, è dovuta probabilmente al buio in sala, ma anche ai mutamenti di piani, di luci e ai movimenti della macchina da presa, che indeboliscono l’intelligenza critica dello spettatore, esercitando su di lui una specie di incantamento, come uno stupro." (Luis Buñuel citato in Lodoli, Marco, Fuori dal cinema. Il “Diario” di cento film, Einaudi, Torino, 1999, p. 101.)
Sono d'accordo sull'incantamento, non lo sono affatto sull'indebolimento dell'intelligenza. Anzi per me è vero il contrario: i film, quali più e quali meno, stimolano l'attività mentale degli spettatori.
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