17 gennaio 2010

Video virali, Greenpeace e l'ultima arte rimasta

Una delle poche forme d'arte che abbiano un senso oggi sono i video di comunicazione virale.

Inizio a capire cosa volesse dire il fotografo Oliviero Toscani quando in un'intervista disse che l'unica forma d'arte rimasta fosse la pubblicità. Il suo intento era provocatorio, e portava acqua al suo mulino, ma nascondeva della verità.

I video, quando sono veramente virali (quando cioè ottengono l'obbiettivo per cui sono stai concepiti, la massima diffusione), sono ancora in grado di colpire o addirittura
scioccare, sono brillantemente concepiti e realizzati. Meglio ancora quando sono impegnati.

Alcuni sono bellissimi. Potenti. Descrivono atti di protesta e sono atti di protesta loro stessi. Sono vere e proprie installazioni. Alcune di queste proteste mi hanno riportato alla mente i mobiles di Alexander Calder, altre sembrano imparentate con la Land Art di Walter DeMaria. Come per la Land Art, anche nel caso di Greenpeace gli "interventi" hanno dimensioni enormi e si fruiscono "a distanza" attraverso un racconto per immagini.

Le azioni di Greenpeace hanno però qualcosa in più: a volte un impatto immediato che scavi in zone desertiche non possono avere e soprattutto trasmettono la loro
urgenza viscerale di sopravvivenza.


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