18 febbraio 2012

Pina in a men's world

Mal sopporto il teatro che mi sembra fatto più per gli attori che per gli spettatori e ho sempre detestato la danza. Ma Pina di Wim Wenders mi ha fatto cambiare idea.



L'ho trovato un film entusiasmante che mi ha fatto scoprire le potenzialità dell'espressività corporea, probabilmente anche grazie alla tecnica di ripresa 3D. E forse mi ha anche convinto ad andare a vedere qualche spettacolo di teatrodanza in più, a patto che duri al massimo poco più di un'ora.

Perché in effetti il mio entusiasmo per il film di Wenders, dedicato alla famosissima ballerina e coreografa scomparsa Pina Bausch, è iniziato vorticosamente a scendere dopo due terzi del film. Sarà stata la stanchezza della sera, sarà stato l'affievolirsi dell'effetto 3D (al quale ci si abitua e non si presta più molta attenzione), ma avrei fatto volentieri a meno degli ultimi 20 o 30 minuti di pellicola.

Al di là di questo, ciò che più mi ha colpito nelle coreografia che Wenders e Bausch hanno studiato insieme e che il regista ha filmato è stata una raffigurazione della donna - così mi è parso soprattutto nelle coreografie iniziali - come di un essere intrappolato nel proprio desiderio e eterodiretta e costretta a muoversi. E così la donna (ma a volte anche l'uomo) cammina quasi come una sonnambula disperata in un ambiente in cui l'uomo sposta gli ostacoli, oppure ne corregge postura e traiettoria. La accudisce come un uccello che pure tiene prigioniero in gabbia.

Oppure la ballerina è costretta a strisciare per terra o è trattenuta da robuste corde che le legano la vita. Oppure ancora è oggetto indolente di manipolazioni da parte di uomini scienziati-stupratori-utilizzatori finali delle sue membra. 

Non c'è solo questo, certo, nelle coreografie, ma tutta la gamma dei sentimenti e delle pulsioni umane. Eppure è questa visione della donna come oggetto e creatura del maschio che mi ricorda la letteratura ottocentesta, una visione da 'woman in the attic' come la "pazza" Bertha di Jane Eyre, romanzo di Charlotte Brontë, che è l'aspetto attraverso il quale sono riuscito a entrare in maggiore contatto con il film.


La costruzione imperiale della donna pazza in Jane Eyre.

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