06 aprile 2010

Strade perdute e Mulholland Drive

Vi offro oggi un piccolo ragionamento teso ad evidenziare le similarità tra due film di David Lynch, che nel titolo stesso portano fanno riferimento a strade: nei titoli originali Lost Highways (1997) e il successivo Mulholland Dr. (1999), uno degli argomenti del libro di prossima pubblicazione contenente un mio lungo saggio.

Il parallelismo tra Strade perdute e Mulholland Drive è evidente, a cominciare dalla presentazione di almeno due mondi distinti all'interno di entrambi i film e dallo stravolgimento della vicenda raccontata che si verifica a un certo punto dell'intreccio narrativo, che costringe a rivedere tutte le assunzioni e le ipotesi formulate.

In
Mulholland Drive è forse più scioccante, poiché lo scarto avviene dopo oltre due terzi di film, nei quali, nonostante alcuni punti oscuri e un alone di mistero, è possibile costruire la fabula in modo soddisfacente. Al termine del film si è invece perfino in difficoltà nel dire cosa sia stato raccontato. Come in Strade perdute la vicenda si avvita su se stessa e non si è sicuri che i personaggi siano effettivamente gli stessi. La seconda parte è per molti aspetti il rovesciamento della prima, la visione "attraverso lo specchio" dell'universo presentato in precedenza. Sembra che la fabula torni continuamente sugli stessi luoghi attuando però delle variazioni.

Mulholland Drive sembra la rivisitazione in chiave femminile del nastro di Möbius di Strade perdute.
Nella seconda parte, i personaggi hanno nomi diversi, ma comunque nomi che nella prima parte appartenevano ad altri personaggi, come e forse più che nel caso del personaggio di Patricia Arquette di Strade perdute, lo spettatore tende a considerare l'attrice come segno di continuità tra le diverse vicende, tra i diversi livelli di realtà presentati.

Sono entrambi film sull'identità. Ipnotici, avvincenti e densi di mistero, che lasciano la sensazione che nemmeno dopo una visione più attenta esso possa essere ricondotto a una forma coerente. Rispolverando temi a lui cari, come quello della memoria e della crisi di identità, della violenza e della seduzione, al punto da indulgere in una sorta di autoparodia, Lynch sospende tutto nella consueta atmosfera minacciosa e tetra, tuttavia non senza velature ironiche. Mulholland Drive spartisce con i suoi film precedenti anche i richiami al genere noir. Le due donne infatti cercano di scoprire chi sia Rita. La ricerca delle due detective improvvisate non produce risultati di rilievo, ma la situazione si fa sempre più intricata e cupa. L'ansia di conoscenza dello spettatore è frustrata mentre si accumulano un numero straordinario di piste e di simboli enigmatici. Invece di avvicinarsi progressivamente alla rivelazione, la trama noir si fa sempre più complessa fino letteralmente ad esplodere in una situazione tanto diversa da sembrare un altro film. La struttura narrativa nella seconda parte del film sembra sfaldarsi completamente, mentre il personaggio di Rita assume i connotati della femme fatale e la scatola blu si rivela poco più che un McGuffin e il simbolo che universi paralleli si possano incrociare.

In Lynch, come nei lavori di Quentin Tarantino e Christopher Nolan, i temi e le tecniche del cinema noir sono decostruite profondamente; e hanno semmai l'effetto di calare lo spettatore in un'atmosfera di intrigo e sospetto che in qualche modo sottolinea e tematizza la crisi dell'attività cognitiva. E c'è in entrambi i fillm un rimando all'attività cognitiva dello spettatore. Fred Madison è spettatore dei nastri che gli vengono recapitati a casa in Strade perdute e Rita e Betty assistono a un singolare spettacolo teatrale nella più significativa scena di Mulholland Drive.

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