E' un film drammatico e tragico fino all'estremo del verosimile. Più che a un film realista è avvicinabile a una tragedia greca classica, trasportata però all'epoca della guerra in Libano. Parla di una sofferenza privata che, come quella della guerra, tanto più grande perché imposta dall'alto, dal destino, così come la guerra è imposta per ragioni che spesso i popoli non condividono.
Se il titolo italiano mette in risalto l’estremo coraggio di questa donna, che fa pensare a un altro capolavoro teatrale, Madre coraggio e i suoi figli, appunto, di Brecht, anche per via della tematica della guerra presente nel dramma di Brecht, il titolo originale è Incendies (fuochi) e richiama le esplosioni della guerra. E anche le esplosioni di violenza che non vengono da arma da fuoco.
E' il quarto film di Denis Villeneuve, regista canadese, che ha collezionato una serie importante di premi anche con i film precedenti, con i quali ha rappresentato più volte il Canada per la corsa agli Oscar. Ma solo con questo ha ricevuto effettivamente la candidatura alla statuetta come miglior film straniero. E come miglior film straniero, La donna che canta è stato nominato aianche ai David di Donatello.
Il film ha origina da una pièce teatrale di Waidi Mouawad, drammaturgo libanese che vive in Canada. Lavoro che ha debuttato nel 2003 ed è stato rappresentato anche in Italia.
E' un film che trascina verso i suoi gorghi infernali e richiede di prendere un po' d'aria mano a mano che si fanno le dolorose scoperte assieme ai gemelli che compiono l'indagine alla ricerca del loro passato. La narrazione riesce a rivelare piano piano tutti i suoi dettagli che saranno sempre più terribili. Cosa che avvicina questa tragedia a un film noir. E' un film forte che richiede di essere seguito nel suo gioco di eccessi melodrammatici.
Il perdono.
Mi pare che il tema principale della pellicola sia quello del perdono. I protagonisti sono coinvolti dalla madre in una caccia al tesoro per scoprire un verità troppo difficile e dolorosa. Il tesoro è quindi la verità, il tesoro è la propria storia, la propria origine. Il tesoro è la conoscenza.
Questa si genera attraverso una catarsi, cioè una purificazione, prodotta da un dolore talmente grande che rischia però di schiacciare e se ne esce talmente puliti, talmente depurati che si è così sottili, così essenziali, svuotati da ogni sovrastruttura che permette di perdonare qualsiasi atrocità.
La protagonista ha subito così tanta cattiveria e violenza che non ha nulla da perdere, non ha praticamente più sentimento, ma solo vendetta, eppure quella vendetta non si può compiere, non si può sviluppare ma dove muore nasce invece il perdono perché sarebbe una vendetta contro chi ha desiderato più di ogni altra cosa al mondo. E in più è una vendetta talmente forte che si esaurisce da sola. E' come un fuoco che ha bruciato tutto e quindi si autoestingue perché non ha più nulla da bruciare.
I figli arrivano così a capire che la madre è sempre sembrata fredda e avara di sentimento nei loro confronti, perché sopraffatta da un numero di emozioni indescrivibili per la loro forza e perché erano per lei il frutto delle violenze subite. Nel finale, all'ostilità che i suoi fratelli avevano nei confronti del suo amore e del suo amato (odio etnico che scatena la serie indicibile di tragedie), si contrappone il perdono della nuova generazione che se riesce, può riconciliarsi con se stessa e con la generazione precedente attraverso la figura mostruosa di questo padre-fratello torturatore. L'agnizione, riconoscimento della reale identità di un personaggio, risolve il dramma come nella teatro classico e comporta un grosso colpo di scena.
La guerra.
Il tutto avviene attraverso un viaggio nello spazio e nel tempo, in cui la figlia ripercorre le tappe della storia della madre, dall’allontanamento dal suo villaggio per la scandalosa gravidanza avuta da un Palestinese (lei è cristiana, quindi di un’altra religione) e attraverso numerose dolorose tappe, fino alla prigione dove è stata rinchiusa e torturata.
All'andamento binario dei due fratelli che affrontano in maniera così diversa le ultime volontà della madre, si affianca il contrasto tra il Canada, gelido e fermo, e il Medio Oriente, scaldato dal sole ma anche infuocato dalla guerra. Ma la scelta del Medio Oriente è solamente simbolica o quasi. Il film è stato girato in Giordania ed è ambientato durante la guerra di Libano, ma non ci sono, e volutamente, riferimenti precisi a singoli episodi o battaglie. Stupri, torture sono una caratteristica di ogni guerra, ma la situazione mediorientale è ciò che ci può essere di più tragico e costantemente instabile nell'immaginario odierno.
Forse è per questo che il film non lascia spazio ai giudizi su vittime e carnefici, perché troppo grande è la colpa e troppo grande è l'amore di questa donna. Di nuovo, la guerra potrebbe essere stato solo un pretesto per raccontare la violenza più atroce, un pretesto per raccontare una vicenda al limite, che in realtà potrebbe succedere anche tra le mura domestiche. Purtroppo ci raggiungono notizie sgradevoli di violenze sessuali commesse da genitori nei riguardi dei propri figli. Per molti popoli anche in questo momento sono comunque violenze che vengono perpetuate, dovunque ci siano scontri etnici, religiosi, eccetera.
All'andamento binario dei due fratelli che affrontano in maniera così diversa le ultime volontà della madre, si affianca il contrasto tra il Canada, gelido e fermo, e il Medio Oriente, scaldato dal sole ma anche infuocato dalla guerra. Ma la scelta del Medio Oriente è solamente simbolica o quasi. Il film è stato girato in Giordania ed è ambientato durante la guerra di Libano, ma non ci sono, e volutamente, riferimenti precisi a singoli episodi o battaglie. Stupri, torture sono una caratteristica di ogni guerra, ma la situazione mediorientale è ciò che ci può essere di più tragico e costantemente instabile nell'immaginario odierno.
Forse è per questo che il film non lascia spazio ai giudizi su vittime e carnefici, perché troppo grande è la colpa e troppo grande è l'amore di questa donna. Di nuovo, la guerra potrebbe essere stato solo un pretesto per raccontare la violenza più atroce, un pretesto per raccontare una vicenda al limite, che in realtà potrebbe succedere anche tra le mura domestiche. Purtroppo ci raggiungono notizie sgradevoli di violenze sessuali commesse da genitori nei riguardi dei propri figli. Per molti popoli anche in questo momento sono comunque violenze che vengono perpetuate, dovunque ci siano scontri etnici, religiosi, eccetera.
La donna che canta tocca numerosi e spinosi temi: perdono, guerra, violenza, condizione della donna, famiglia, amore, questione mediorientale. E può essere letto in molte maniere different, come parabola del perdono, come dramma bellico, come melodramma, ma anche come paradosso matematico espresso matematicamente dalla domanda: “può 1 più 1 fare 1?” Ovvero come equazione dove le incognite che dapprima paiono essere due, si moltiplicano via via sono tre, padre, figlio e madre e loro stessi. Esiste poi il paradosso della vita come eterna ricerca di una terra promessa, ricerca di pace quasi impossibile da trovare.
Ma il film è anche una tragedia classica. L'irreparabilità, il destino senza via di fuga, mi fanno pensare anche alle tragedie teatrali, greche e anche moderne, nelle quali non c'è scampo a un destino scritto, anche se questo destino si conosce già. E poi il topos dell'agnizione finale, lo stratagemma del riconoscimento che scioglie una situazione divenuta irrimediabilmente complicata.
E’ in questo e nella massiccia presenza di colpi di scena che il film tradisce l’origina teatrale, anche se il racconto si sviluppa invece con molta sapienza attraverso un intreccio efficace di presente e passato, attraverso questi lunghi flashback che raccontano delle violenze subite dalla madre.
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