La prima parola che mi viene in mente se penso a Robert Altman è coralità. Molti dei suoi film più famosi, da Nashville a M.A.S.H. a America oggi ai più recenti Gosford Park o The Company non hanno un unico protagonista definito, ma raccontano vicende intrecciate a tal punto che risulta difficile riassumere in modo efficace quello che i film raccontano.
Oggi ricorrono i 5 anni dalla scomparsa dell'eclettico regista statunitense e per lavoro ho visto alcune interviste che ha rilasciato alla TV per cui lavoro.
Altman faceva fatica a rispondere alle domande in modo esaustivo, sembrava spesso scocciato: il suo lavoro, si intuisce fra le righe, è quello di fare film, radiodrammi, programmi televisivi, inscenare pièces teatrali (tutte attività che considera della stessa dignità e nei quali nega vi sia differenza di approccio), e non di parlarne. Quello spetta agli altri, agli spettatori.
C'è comunque una frase che più di tutte mi ha colpito e che testimonia ancora una volta di quanto fosse importante per lui il concetto di coralità. Cercando di descrivere il suo lavoro, Altman dice che i suoi film non li ha fatti da solo: il suo nome figura come il brand del film, ma ci sono moltissimi altri artisti che partecipano della sua riuscita, come il direttore della fotografia, il sound designer, il direttore artistico e soprattutto gli attori. Questo non vuol dire - aggiunge Altman - sminuire il suo lavoro. Il regista ha una parte molto importante in tutto ciò. Altman è comsapevole che senza regista un film non si potrebbe fare, perché tutti gli artisti coinvolti lavorano per lui. Il regista è come un monarca benevolo che accende la luce sul loro lavoro e quelli lo eseguono perché credono che vi sia un controllo.
Ne emerge la figura di regista come di un demiurgo che con la sua protezione permette a tutti gli artisti in gioco di lsciarsi andare e comporre l'opera sotto e grazie al suo sguardo vigile.
Nessun commento:
Posta un commento